Approfondimenti

https://www.planetari.org/2022/12/19/disponibile-il-materiale-per-il-centenario-dei-planetari/

Il planetario: un percorso tra archeologia e tecnologia (seconda parte)

di Simonetta Ercoli

Il planetario moderno ha mosso i suoi primi passi nella seconda metà del XVII secolo, quando furono soddisfatte due condizioni fondamentali: una conoscenza completa del cielo e un livello apprezzabile della tecnologia. Numerose, infatti, erano le difficoltà da superare per gli antichi astronomi (si veda la prima parte dell’articolo), non tanto per ricostruire la volta stellata, che varia la sua configurazione in tempi molto lunghi, quanto per rappresentare i moti apparenti, che su di essa compiono i “corpi erranti” (Sole, Luna e pianeti visibili ad occhio nudo) in conseguenza ai moti propri e a quelli di rotazione e di rivoluzione della Terra. Inoltre, per soddisfare una simulazione più convincente necessitava di ospitare le persone all’interno e di conseguenza la struttura doveva essere di grandi dimensioni.

In questa ottica la Sfera armillare Gottorp si può considerare il progenitore del planetario moderno. Si tratta di uno strumento meccanizzato costruito in Germania da Andreas Buschnel 1653: un bel manufatto, che mostrava il movimento del Sole e i pianeti allora conosciuti, raffigurati da sei angeli d’argento. In essa veniva simulato anche il moto di precessione degli equinozi, facendo ruotare il piano dell’equatore rispetto a quello dell’eclittica, che conteneva lo zodiaco, a una velocità corrispondente a una rivoluzione ogni 25.000 anni circa.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 1_il-globo-di-Gottorp-1.jpg
fig. 1 – il globo di Gottorp

Il passo dalla sfera armillare a un globo meccanizzato fu breve ed infatti ecco nel 1664 apparire alla ribalta il Globo di Gottorp, sempre costruito da Busch in Germania per il duca Federico III di Holstein-Gottorp. Era una sfera cava di rame di poco più di tre metri di diametro e di circa tre tonnellate e mezzo di peso, sulla cui superficie esterna erano raffigurati i continenti e gli oceani della Terra e su quella interna una mappa del cielo costituita da stelle dorate. Internamente vi era posto per una dozzina di persone, che potevano così osservare il cielo da una posizione più naturale, cioè dall’interno, e percepire la simulazione della rotazione terrestre, in quanto il globo era azionato da un dispositivo idraulico, che ne permetteva la rotazione completa in 24 ore.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 2_il-planetario-di-Huygens-1.jpg
fig.2 – il planetario di Huygens

Anche il grande matematico, astronomo e fisico olandeseChristiaan Huygens (14 aprile 1629 – 8 luglio 1695) descrisse la costruzione di un planetario meccanico, in un testo che fu pubblicato postumo, per dimostrare non solo la fondatezza del sistema eliocentrico copernicano ma anche l’ipotesi kepleriana. Le orbite, infatti, erano progettate eccentriche e il moto dei pianeti era prodotto da una serie di ruote dentate, realizzate in modo tale che il numero dei denti fosse proporzionale al periodo orbitale di ciascun pianeta e che venissero mostrate anche le rispettive variazioni di velocità. Il progetto fu ripreso nel 1682 dall’orologiaio tedesco Johannes van Ceulen, che ne realizzò un planetario da parete in legno con un diametro di circa 60 cm. e una profondità di 15, ora conservato al Museo Boerhaave, in Olanda.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 3_il-primo-Orrery.jpg
fig. 3 – il primo Orrery

Sull’onda dello sviluppo tecnologico legato all’orologeria, nella prima parte del 1700 iniziò l’era degli “Orrieres”, o planetari meccanici, nome derivato dall’irlandese Charles Boyle, quarto conte di Orrery, che commissionò a John Rowley, un tecnico di George Graham, inventore londinese del pendolo compensato e costruttore di orologi, la costruzione nel 1704 del primo grande planetario dell’era moderna. Questo era costituito da un modello del sistema solare azionato da un meccanismo ad orologeria, che simulava le relative posizioni e movimenti dei pianeti e delle loro lune intorno al Sole.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 4_lOrrery-di-Eisinga.jpg
fig. 4 – l’Orrerey di Eisinga

Molto particolare fu l’Orrery costruito dall’astronomo olandese Eise Jelteszn Eisinga, per dimostrare che non si sarebbe verificata nessuna apocalittica collisione nella congiunzione della Luna e dei pianeti Mercurio, Venere, Marte e Giove prevista nel 1774. Egli costruì sul soffitto del salone della sua casa un modello in scala del sistema solare, azionato da un orologio installato nella soffitta sovrastante, con il quale il periodo di rivoluzione dei pianeti allora conosciuti veniva regolato sullo stesso tempo dei pianeti reali: Saturno impiegava realmente 29,5 anni per orbitare attorno al Sole! Nel 1825 il planetario fu acquistato dallo Stato olandese, che nel 1859 lo donò alla città di Franeker ed oggi è incluso nella lista dei cento monumenti olandesi valutati dall’UNESCO patrimonio dell’umanità. Gli orreries furono un valido strumento didattico per la divulgazione dell’astronomia durante tutto il ‘700, ma l’avvento di meccanismi più sofisticati li fece cadere in disuso e divennero degli interessanti oggetti da museo di Storia della Scienza.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 5_il-globo-di-Atwood.png
fig . 5 – globo di Atwood

Nel 1758, Roger Long, professore di astronomia e geometria presso il Pembroke College di Cambridge, prendendo spunto dal globo di Gottorp, costruì Uranium: una sfera di 5,5 metri di diametro, in cui le posizioni delle stelle non erano più disegnate ma realizzate con piccoli fori, attraverso i quali poteva penetrare la luce esterna, dando l’illusione alle 30 persone che vi potevano prendere posto, di un cielo stellato più reale. Un’ulteriore evoluzione del globo di Gottorp fu rappresentata dal globo di Atwood, una sfera di circa 5 metri di diametro, realizzata in materiali leggeri in modo da ridurne il peso e mossa da un motore elettrico, progettata e costruita nel 1912 da Wallace Atwood, direttore dell’Accademia delle Scienze di Chicago. Anche su di esso le posizioni di 692 stelle (fino alla quarta magnitudine apparente) erano rappresentate tramite forellini di diverso diametro, attraverso i quali la luce penetrava all’interno della sfera. Internamente, inoltre, una lampada mobile visualizzava la posizione del Sole, alcuni dischi mostravano la Luna con le sue fasi e le posizioni dei pianeti erano riportate sulla fascia dello zodiaco tramite un’altra serie di forellini, che potevano essere chiusi per mostrare la variazione della loro posizione nei diversi periodi. Oggi questo planetario, perfettamente funzionante, è esposto presso l’Adler Planetarium di Chicago.

Con la realizzazione dell’Orbitoscope da parte del prof. E. Hindermann di Basilea sempre nel 1912, i tempi erano maturi per la costruzione dei planetari a proiezione. In esso, infatti, per la prima volta due pianeti orbitanti attorno ad un sole centrale venivano proiettati su una superficie tramite un sistema di ombre create con una lampadina. L’inizio della Prima Guerra Mondiale, però, portò al blocco di ogni progetto in questo campo. Al termine del conflitto,Walter Bauersfeld, direttore dell’azienda ottica tedesca Zeiss di Jena, riprese gli studi sulla costruzione di un planetario commissionato alla ditta nel 1913 dall’ingegnere Oskar von Miller, fondatore e primo direttore del Museo della Tecnica di Monaco (1903). Bauersfeld, con uno staff di scienziati ed ingegneri, rivoluzionò del tutto il concetto di planetario fino a portarlo alla odierna configurazione. La sfera celeste mobile fu trasformata in una semisfera proiettata su una cupola fissa bianca e l’illuminazione esterna divenne interna e generata da una macchina rotante, posta nel centro di una sala perfettamente oscura. Nell’agosto del 1923 venne realizzata una prima cupola di 16 metri di diametro sul tetto della ditta: lo scheletro esterno era formato da una struttura metallica leggera e la parte interna da una base di legno, spruzzata di un sottile strato di cemento, successivamente dipinto di bianco.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 6_la-meraviglia-di-Jena.jpg
fig. 6 – La meraviglia di Jena

All’interno venne installato il primo proiettore Zeiss, Modello I, una macchina costituita da un corpo su cui erano posizionati dei dischi, che riportavano le posizioni di circa 4500 stelle, quale base del cielo notturno, e diversi proiettori secondari per l’illuminazione di pianeti, Luna e Sole, ciascuno dotato di movimento autonomo. Il tutto comandato con semplici interruttori elettrici!  La meraviglia di Jena era pronta e il 21 ottobre 1923, dopo essere stata smontata e trasferita al Museo della Tecnica di Monaco, Bauersfeld la inaugurò con la prima dimostrazione pubblica durante un congresso. Questo primo planetario, a parte le traversie subite durante la seconda guerra mondiale, rimase in funzione fino al 1951, anno in cui venne sostituito da un modello più moderno, Modello IV.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 7_promozione-della-Scienza-il-modello-GOTO.jpg
fig. 7 – Promozione della Scienza, il modello GOTO

Da allora i modelli della Zeiss progredirono con il miglioramento delle macchine sotto molteplici aspetti e contemporaneamente si affacciarono sul mercato nuove case produttrici, quali la giapponese Goto che, approfittando dell’entrata in vigore in Giappone nel 1954 della legge sulla Promozione della Scienza in tutti gli ordini di insegnamento, iniziò lo studio di modelli di proiettori adatti a tale scopo. Nel 1963 uno dei modelli più piccoli di questa casa costruttrice, E-3 o E-5 (3 e 5 corrispondono all’ampiezza in metri della cupola) fu installato in ogni scuola elementare giapponese.

Un’altra casa costruttrice, la Spitz, dal nome del suo fondatore il Dr. Armand Spitz,  sviluppò un proiettore ottico di piccole dimensioni, l’”A-1″, adatto per scuole e piccoli musei, che fu prodotto e installato negli istituti scolastici statunitensi per tutti gli anni ’50. Il planetario opto-meccanico era ormai diventato un diffuso strumento per l’informazione astronomica a livello didattico, divulgativo e perfino militare!

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 8_il-planetario-opto-meccanico.jpg
fig. 8 – il planetario opto-meccanico tradizionale

In genere i modelli di ultima generazione di questo tipo di planetario (oggi molti utilizzano la fibra ottica) sono formati da una sfera cava, sulla cui superficie si aprono i fori corrispondenti alle stelle visibili ad occhio nudo, di diametro diverso in base alla grandezza della stella, e coperti da piccole lenti che ne amplificano la differenza di dimensione sulla cupola di proiezione. Proiezione assicurata da una lampadina interna di bassa potenza per creare un buon contrasto con la restante parte di sfondo scuro della superficie della cupola: il realismo dell’esperienza di visione in un planetario dipende proprio dal contrasto dinamico tra buio e luce. La sfera è dotata in genere di tre movimenti: uno rotatorio est-ovest per simulare la rotazione giornaliera della Terra, uno nord-sud per adeguare la latitudine alle diverse posizioni sulla superficie terrestre ed uno di rotazione per riprodurre l’effetto di precessione degli equinozi. Alcuni tipi di planetario sono costituiti da due sfere distinte per la simulazione dei due emisferi celesti. Lo strumento è poi corredato da un numero variabile di altri proiettori, per riprodurre i corpi del Sistema Solare con i loro movimenti e per simulare funzioni quali la Via Lattea, i crepuscoli, le coordinate astronomiche e così via.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 9_planetari-portatili-in-esposizione.jpg
fig. 9 – planetari portatili in esposizione

Ogni planetario si accoppia con una cupola di proiezione adeguata. Sono in produzione cupole da un minimo di 3m ad un massimo di 35m e ne esistono di tipo fisso o portatile; queste ultime possono essere gonfiabili in pochi minuti o realizzate in materiale leggero da costruire in poche ore. L’ americana Learning Technologies Inc. realizzò il primo planetario trasportabile nel 1977. Le cupole fisse sono oggi generalmente prodotte con profilati di alluminio molto sottili e di colore grigio tenue per diminuire la capacità riflettente della superficie ed offrire così un miglior contrasto. Nel bordo di base presentano, inoltre, il profilo dell’area circostante al planetario e un’illuminazione regolabile per simulare l’effetto dell’inquinamento luminoso.

Fino agli anni ’70 le cupole erano montate in modo orizzontale, così da corrispondere all’orizzonte naturale del cielo notturno, ed avevano i sedili reclinabili e distribuiti in modo concentrico, per favorire una visione più confortevole. Ma agli inizi del 1970 Spitz costruì la prima configurazione di cupola inclinata, con sedili disposti a gradinata per garantire una visione ottimale: iniziò così la rapida evoluzione tecnologica dei planetari, che ha portato alla vasta disponibilità attuale di modelli, controllati dal computer e sofisticati sistemi di automazione. Anche gli architetti poi si sono sbizzarriti nel creare le forme più varie per queste strutture: il planetario annesso alla Biblioteca di Alessandria in Egitto è addirittura una sfera! In alcuni moderni planetari il pavimento è di vetro, per permette agli spettatori di sentirsi al centro di una sfera, sulla cui superficie interna vengono proiettate immagini in tutte le direzioni: l’impressione è quella di galleggiare nello spazio! In altri ancora pulsanti o joystick sui braccioli dei sedili consentono al pubblico di percepire fisicamente lo spettacolo in tempo reale.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 10_planetario-sferico-in-Alessandria-dEgitto.jpg
fig. 10 – planetario sferico in Alessandria d’Egitto

Già, spettacolo, perché è questo che oggi rappresenta la frontiera dell’evoluzione dello strumento-planetario. Nel 1967 Phillip Stern, docente presso l’Hayden Planetarium di New York, costruì il piccolo planetario Apollo, programmato per registrare lezioni e filmati, ed aprì la strada ai planetari multimediali, che non solo potevano proiettare immagini e filmati del cielo, ma erano programmati per contenere registrazioni di relazioni destinate al pubblico o a operatori scolastici di vario livello che potevano scegliere se creare il proprio prodotto o seguire il programma del planetario dal vivo. Nel 1970 fu prodotto il progenitore dell’odierno IMAX Dome, un sistema cinematografico concepito per essere proiettato sulle cupole dei planetari. E nel 1983, la ditta Evans & Sutherland installò nel Planetario Hansen di Salt Lake City in Utah il primo proiettore per planetari completamente computerizzato, il Digistar, dotato di un obiettivofisheye unico in grado di riprodurre il cielo in tre dimensioni.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 11_proiezione-fulldome-sullastronautica.jpg
fig.11 – proiezione fulldome sull’astronautica

Inizia così l’era dei planetari a proiezione digitale, basata sulla costruzione di immagi e/o video generati da un computer e poi proiettati sulla cupola con diversi tipi di tecnologie, quali tubo catodico, LCD, DLP e proiettori laser. Il sistema di proiezione può essere a singolo proiettore montato al centro della cupola e dotato di obiettivo fisheye per diffondere la luce su tutta la sua superficie o a più proiettori (4, 5, 6 fino a 12) disposti lungo l’orizzonte della cupola, che fondono insieme le immagini senza soluzione di continuità e con un buon grado di pixel come risoluzione per migliorare l’esperienza visiva. Di fatto un planetario digitale è un sistema di proiezione simile a quello di un cinema ma con un valore aggiunto, la tecnologia video fulldome: la proiezione copre l’intera cupola semisferica della sala del planetario ed offre ulteriori possibilità, quali i wide-screen o film “avvolgenti” sui più svariati argomenti e gli spettacoli laser che combinano musica con modelli disegnati a laser; il tutto ad elevato grado di risoluzione.  E proprio la risoluzione è diventata la protagonista dei planetari d’avanguardia: una corsa all’Ultra High Definition (UHD)… 2K… 4K… 8K…

Ma alcuni planetari, a fianco delle avveniristiche tecnologie digitali, hanno ancora anche il “vecchio” proiettore opto-meccanico per creare l’emozione della visione del solo cielo stellato!

Bibliografia

1. From the Arratus Globe to the Zeiss Planetarium, Helmet, Werner, Publ. Gustav Fischer, Stuttgart, 1957. (Available only from Carl Zeiss, N.Y.)
2. Letter to Shelter Publications from Dr. W. Degenhard, Carl Zeiss, June 19, 1973.
3. James Clayton Lecture: Projection Planetarium and Shell Construction at Institution of Mechanical Engineering, London, May 10, 1957 by Professor Walter Bauersfeld.
4. Geodesic Domes and  Charts of the Heavens
5.Christiaan Huygens’, Planetarium H.H.N. Amin (1220241) WI3606, December 12, 2008
6. http://www.telacommunications.com/geodome.htm
7. http://it.wikipedia.org/wiki/Planetario
8.http://articles.adsabs.harvard.edu/
9. http://www.irem.univ-mrs.fr/IMG/pdf/huygens-delft.pdf
10. http://www.museumboerhaave.nl/object/planetarium-v09997/
11.http://www.adlerplanetarium.org/blogs/the-worlds-first-tabletop-planetarium
12. http://it.wikipedia.org/wiki/Eise_Eisinga
13. http://www.goto.co.jp/english/corporation/corpo_history.html
14. http://en.wikipedia.org/wiki/Planetarium
15. http://www.spitzinc.com/docs/history.html

Il planetario: un percorso tra archeologia e tecnologia (parte prima)

di Simonetta Ercoli

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è A.jpg

Il Planetario, oggi, si presenta come uno strumento di sintesi tra la sfera celeste e la rappresentazione dei principali moti dei corpi celesti che su di essa si spostano. In passato questi due aspetti erano studiati separatamente: per la sfera celeste venivano utilizzati mappe e globi, per il moto dei corpi si utilizzavano le sfere armillari. Nel III secolo a. C., ad Alessandria d’Egitto, Eratostene costruì la prima sfera armillare, costituita da anelli metallici (armillae), ciascuno dei quali rappresentava uno dei cerchi di riferimento per l’orientamento celeste: equatore, orizzonte, eclittica, meridiani e paralleli. Tale strumento, nato come espressione del sistema geocentrico, seguì l’evoluzione delle conoscenze dell’uomo e venne adeguata al sistema eliocentrico, sostenuto da Copernico. Nei musei se ne trovano di varia dimensione e foggia, espressione del valore estetico relativo al periodo di costruzione.
Comunque, l’esigenza di rappresentare un cielo trapunto di stelle (su pareti, mappe, quadri o meglio ancora su di un soffitto, così da simulare proprio la volta celeste) risale alla notte dei tempi…
In epoca sumerica, III millennio a.C., venivano costruiti planisferi in terra cotta su cui erano riportati segmenti con l’iscrizione del nome di un mese dell’anno, associato ad una costellazione e ad un numero. Sul retro, poi, era descritta in cuneiforme la posizione di determinate stelle.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 2.jpg
Planisferi in terra cotta, British Museum, Londra

Sempre risalenti al III millennio a.C. sono le incisioni rupestri rinvenute in Armenia, sul monte Gegama non lontano dal lago Sevan; su di esse sono raffigurate le stelle del Leone, dello Scorpione e del Sagittario, così come erano visibili ad occhio nudo. Le stelle sono rappresentate da un cerchio con un punto al centro e di diametro diverso in base alla loro luminosità. Alcuni studiosi sostengono che gli abitanti degli altopiani armeni praticavano la divisione della sfera celeste in costellazioni già molto tempo prima dei Greci e degli Egizi.
Ed ancora, datato 1.600 a.C. è un manufatto, noto come Disco di Nebra, rinvenuto in Germania una ventina  di anni fa, nel quale è rappresentato il cielo notturno.
Tra le mappe una delle più antiche, se non la più antica, è la mappa celeste cinese, risalente al VII secolo d.C., rinvenuta nella grotta di Dunhuang, in Cina, intorno agli anni cinquanta ed ora conservata presso il British Museum di Londra. Lunga circa 2 metri, mostra 1339 stelle rappresentate con tre colori diversi e organizzate in costellazioni, tra le quali sono  riconoscibili forme quali il Grande Carro e Orione.

Sicuramente le rappresentazioni più suggestive del cielo stellato sono quelle che raffigurano la volta celeste su di un soffitto. Diverse erano le motivazioni alla base della loro realizzazione, dalla pura esigenza estetica alla rappresentazione del cielo di un determinato giorno per suggellare un evento particolare.
Una delle testimonianze più antiche di rappresentazione del cielo notturno su di un soffitto è nella tomba di Senenmut, l’architetto di corte e amante della regina-faraone Hatshepsut, figlia legittima del faraone Tuthmosi I nella XVIII dinastia. Per la gloria ultraterrena della regina fu costruito il grande complesso templare di Deir el Bahari, vicino al quale si trova la toma dell’architetto; nella camera A di questa è dipinta una delle più complete rappresentazioni del cielo degli Egizi. Dalla posizione degli astri, gli scienziati sono potuti risalire al periodo della realizzazione individuato intorno al 1463 a.C.. Un altro bellissimo soffitto astronomico si trova nella tomba ipogea della bella regina Nefertari (1295-1255 a.C.), moglie del faraone egizio Ramses II, nella Valle delle Regine. Tutto il soffitto ha come sfondo un cielo stellato di un intenso blu scuro, su cui risaltano i dipinti che illustrano il viaggio verso la notte e il sonno eterni di Nefertari. Presso gli Egizi la notte era simboleggiata dalla dea del cielo Nut, rappresentata come una donna piegata ad arco sopra la terra, nell’atto di inghiottire il Sole al tramonto per partorirlo di nuovo all’alba.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 3.jpg
Rappresentazione della dea egizia del cielo Nut,

Le stelle, disseminate su questo soffitto, come su tutte quelle di tombe e templi egizi, sono sempre a cinque punte: un tipo di stella (detta anche pentagramma o stella pitagorica) a figura geometrica, costruita sulla base della sezione aurea. Un altro esempio importante del periodo egizio, ma più tardo, IV-III sec. a.C., si trovava nel Tempio di Hathor a Dendera, ora in esposizione al Louvre di Parigi. Si tratta di un bassorilievo, in pietra arenaria, di forma quadrangolare che racchiude un disco centrale di 155cm. di diametro, costruito presumibilmente tra il 54 e il 21 a.C.. Esso, riconosciuto al momento come la più importante rappresentazione delle costellazioni egizie e la mappa più completa di tutto il cielo antico, si presenta come una sintesi tra le 12 costellazioni zodiacali di origine assiro-babilonese e greca, posizionate al centro, e quelle egizie che le circondano.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 3-2.jpg
Bassorilievo del tempio di Hator, Dendera

Ampie volte trapunte da mosaici di stelle, generalmente prive di riferimenti astronomici, caratterizzano edifici e chiese di epoca bizantina, come il Mausoleo di Galla Placidia a Ravenna (V secolo d.C.), la cui cupola è ricoperta da ben 570 stelle dorate disposte in cerchi che sembrano creare quasi un effetto di proiezione verso lo spazio infinito. E più tardi le volte affrescate del periodo medioevale, quali la Cappella degli Scrovegni a Padova, la Basilica superiore di San Francesco ad Assisi, la cattedrale di Siena, il Duomo di San Gimignano e molte altre. Un esempio diverso di volta stellata è presente identico in due monumenti fiorentini: la Sagrestia Vecchia nella chiesa di San Lorenzo e la Cappella dei Pazzi in quella di Santa Croce. Gli affreschi riportano la stessa configurazione astronomica del cielo che, dopo accurati studi, è stata identificata in quella visibile su Firenze il 4 luglio 1442, giorno in cui Renato d’Angiò arrivò nella città per chiedere un appoggio militare, per riconquistare il trono del Regno di Napoli sottrattogli da Alfonso d’Aragona.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 4.jpg
La Sagrestia Vecchia in San Lorenzo, Firenze

Ed ancora, nella prima metà del Cinquecento, in periodo Rinascimentale, il cielo stellato sulla volta dell’Oratorio romanico di Santa Maria in Solario a Brescia. Particolare, invece, è la volta del salone del Collegio del Cambio a Perugia, divisa in sei spicchi triangolari ed una la vela centrale a forma di losanga, che il Perugino affrescò nel 1500. In ciascuno spicchio si trova la personificazione di un dio/pianeta abbinato a segni zodiacali e raffigurato su un carro trionfale trainato da animali. Sono presenti anche il Sole, rappresentato da Apollo, e Diana che simboleggia la Luna.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 5.jpg
Giove, Collegio del Cambio, Perugia

A tutte queste espressioni di cielo stellato, però, manca un aspetto importante l’effetto tridimensionale, che si ha all’interno della cupola di un planetario. Testimonianza dei primi tentativi di costruzione di globi celesti tridimensionali si ha già nel VI e nel III secolo a.C. ma nessun reperto è giunto fino a noi. Si hanno solo documentazioni indirette, come testi, illustrazioni o addirittura mosaici, quale quello conservato nel Museo Nacional de Arte Romano a Merida, in cui è raffigurato un globo affiancato dal poeta astronomo greco Arato (III secolo a.C.), autore del poema Phoenomena e costruttore di un globo, basato sulle concezioni astronomiche di Eudosso del IV secolo a.C., anche questo andato perduto. Un particolare globo in marmo bianco, inciso da numerosi cerchi e fori, fu rinvenuto nel 1985 nella città di Matelica, mentre venivano eseguiti lavori di restauro del palazzo pretorio. Un accurato studio sia dal punto di vista astronomico che archeologico, ancora peraltro in atto, ha riconosciuto il reperto, databile tra il II e il I secolo a.C., come la sintesi tra due diversi strumenti: una sfera armillare ed un orologio solare sferico. Altro globo astronomico antico è quello in marmo di 65 cm di Ø, portato da Atlante sulle spalle, “Atlante Farnese”, scultura del II sec. d.C. forse riproduzione di un’opera antecedente, che troneggia all’ingresso del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Su di esso è scolpita la posizione occupata dalle costellazioni nel cielo, secondo il catalogo di Ipparco di Nicea del II sec. a.C..

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 6.jpg
Atlante Farnese, Museo Archeologico Nazionale, Napoli

Bello il globo in legno, conservato presso il museo di Khiva (Uzbekistan) e costruito da Ulugh Bek, sovrano dell’Impero timuride ed importante astronomo e matematico del XV sec.. Su di esso sono raffigurate le principali costellazioni, secondo il catalogo delle Tavole Zig, sempre stilato dal sovrano nel 1437 e usato in Europa fino al XVII sec..

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 7.jpg
Globo in legno, Museo di Khiva (Uzbekistan)

Interessante anche quello costruito nel 1589 da Petrus Plancius (Pieter Platevoet) insieme a Jacob Floris van Langren, in cui sono raffigurate, anche se in posizione non precisa, le costellazioni dell’emisfero celeste sud.I globi, comunque, offrono una visione del cielo dall’esterno, e non quella immersiva che si ha nei planetari moderni. Per trovare una struttura concettualmente simile a questi, bisogna aspettare la metà del Seicento, almeno secondo le testimonianze storiche ed archeologiche finora raccolte. Questa si trova presso l’Antico Osservatorio Astronomico di Pechino, costruito nell’epoca delle dinastie Ming e Qing ed uno dei più antichi del mondo. La costruzione dell’osservatorio iniziò nel 1437, in sostituzione di un’antecedente torre astronomica di legno, e fu successivamente implementato prima ad opera dei musulmani e in seguito dei gesuiti; da ricordare tra questi ultimi l’importante figura di padre Matteo Ricci.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è 8.jpg
Antico Osservatorio Astronomico, Pechino

Nelle sale adiacenti al corpo principale dell’osservatorio si trova un museo dedicato all’astronomia cinese; sul tetto, invece, sono collocati gli strumenti in bronzo progettati nel 1674 dai gesuiti su commissione dell’imperatore Kangxi: un’armilla eclittica, un teodolite, un sestante e un quadrante a forma di drago. Questi, decorati in stile cinese, sostituirono le vecchie versioni mongole in uso da secoli. Altri strumenti di diversi materiali e dimensioni sono alloggiati nel piccolo parco che circonda l’osservatorio; in fondo al parco, dalla parte opposta al corpo centrale si trova una costruzione in pietra con una forma leggermente a tronco di piramide, sormontata da un emisfero in metallo. Su di esso sono rappresentate le costellazioni, con incisioni per le linee che ne definiscono il disegno e fori più o meno grandi per la simulazione delle stelle. Una piccola porta dava accesso all’interno di una camera angusta, da cui era possibile vedere l’effetto del cielo stellato guardando sulla volta traforata.

La storia dei planetari moderni era iniziata!

Bibliografia

1. David P. Silverman, Antico Egitto, E. Mondadori;
2. Descrizione dell’Egitto, pubblicata per ordine di Napoleone Bonaparte, Bibliotheque de L’Imagine;
3. Raccolte, I testi delle piramidi;
4. Antoine Gautier, L’observatoire du prince Ulugh Beg, in L’Astronomie, Octobre 2008, volume 122.
5. http://planet.racine.ra.it/testi/egizi.htm;
6. http://www.starlightgroup.it/index.php/approfondimenti/sotto-il-cielo-di-dendera-di-simonetta-ercoli.html
7. http://www.acacialand.com/Orion.html.
8. http://www.antiqui.it/archeoastronomia/armenia.htm
9. http://planet.racine.ra.it/testi/mesopo.htm
10. http://www.lescienze.it/news/2003/01/26/news/la_piu_antica_mappa_stellare_-588610/
11. http://www.eanweb.com/2012/astronomia-in-cina-una-storia-plurimillenaria/
12. http://it.wikipedia.org/wiki/Planetario
13. http://www.didatticarte.it
14. https://archeologiavocidalpassato.wordpress.com/tag/senenmut
15. http://www.cartigli.it/Graffiti_ed_iscrizioni/Senmut/Tomba%20di%20Senmut.htm
16. http://www.antiqui.it/archeoastronomia/globo.htm

Il cielo racconta la nostra storia fin dai tempi più antichi: ogni popolazione del passato ha affidato alle stelle visibili ad occhio nudo i suoi miti e le sue leggende. Per questo la maggior parte di esse ha un nome proprio che ne ricorda l’aspetto peculiare attraverso il tempo.

Dedicare una stella è un modo per riappropriarci di quel cielo, che ormai guardiamo più poco con stupore e meraviglia, sia perché gran parte ci viene nascosta dall’inquinamento luminoso, sia perché il ritmo incalzante della vita moderna lascia poco spazio ai tempi lenti e pacati necessari per contemplare il cielo e coglierne le regolarità e le variazioni.

Regalare un momento speciale da ricordare, un piccolo frammento di storia del cielo tramite un attestato di dedica:

  • formato A4 fronte retro;
  • nome scientifico e nome proprio della stella con la relativa origine;
  • osservabilità e localizzazione;
  • caratteristiche astronomiche;
  • informazioni storiche e letterarie;
  • dedica personale.

 Per ulteriori informazioni e prenotazioni scrivere a info@starlightgroup.it.

PlanItalia

Progettazione: StarLight, un planetario tra le dita, Perugia.

PLANit, per avvicinare la comunità alla conoscenza del nostro Sistema solare e stimolare il turismo scientifico differenziato per diverse fasce di età, ha realizzato il PlanItalia, progetto che affonda le sue origini nel 2010 all’IPS Conference ad Alessandria d’Egitto. Con esso si è distribuito un Sistema solare sul territorio italiano, costruito in proporzione alle reali distanze tra i pianeti, posizionando geograficamente i pianeti presso planetari/osservatori/musei scientifici attivi sul territorio nazionale, che hanno prodotto un pannello illustrativo, contenente l’intera mappa e le informazioni riguardo al pianeta la cui orbita passa per il luogo, o nei dintorni. La mappa è stata costruita seguendo i seguenti criteri:

1. abbracciare la maggior parte possibile del territorio italiano;
2. coinvolgere il maggior numero possibile di planetari e osservatori.

Per poter realizzare ciò è stato necessario posizionare i pianeti interni in prossimità di aree ad alta intensità di planetari/osservatori/musei scientifici e la scelta più rispondente è stata quella di porre il Sole nella città di Padova. Il più lontano planetario coinvolgibile, quello di Catania, ha determinato la scala delle orbite. Il calcolo della distribuzione dei pianeti è stato fatto seguendo un criterio di proporzionalità.

Al XXX meeting di PlanIt (Associazione dei Planetari Italiani) tenutosi l’11-12 aprile a Torino, “StarLight, un planetario tra le dita” ha proposto di attivare il progetto in occasione dell’evento nazionale “Occhi su Saturno”, svoltosi il 20 giugno 2015. In quella data l’INFN sez. di Perugia, il Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia e l’associazione StarLight hanno organizzato una giornata dedicata a Saturno, il pianeta la cui orbita sulla mappa di PlanItalia corrisponde alla nostra città. Alle ore 22 tutti i partecipanti al progetto hanno collocato i pannelli lungo il territorio italiano.

Adesioni al progetto il 20 giugno 2015

Attualmente a Perugia il pannello è collocato presso la Torre degli Sciri, luogo di svolgimento delle attività periodiche di StarLight.

Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è PlanIt_pannello_fronte_Perugia-1024x724.jpg
Questa immagine ha l'attributo alt vuoto; il nome del file è PlanIt_pannello_retro_Perugia-1024x724.jpg